I sommersi e i salvati

Primo Levi ai tempi del Covid

 

Una signora cammina sul tratto di marciapiede della via in cui abita 150 metri, non di più, avanti e indietro, innumerevoli volte. Al di là del marciapiede la campagna, le carraie, un laghetto. Pensa dentro di sé” Sembrerò matta, però è giusto, sto nei 200 metri”.

Questa e altre regole di questi ci giorni mi hanno riportato alla mente un passo di un romanzo che ho amato molto, ” Se questo è un uomo ” di Primo Levi. Il capitolo 9 è intitolato ” I sommersi e i salvati “;  Levi fa un riflessione stupenda che già allora, a 13 anni, mi ha dato il senso profondo  di quanto la coscienza della propria umanità sia essenziale. Levi dice che il lager imponeva le regole senza senso, che rispondevano alla “lucida follia” nazista. Per l’autore la morte arrivava prima di tutto nella coscienza delle persone, che si dimenticavano la propria umanità e il proprio scopo.

Soccombere è la cosa più semplice: basta eseguire tutti gli ordini che si ricevono,

non mangiare che la razione, attenersi alla disciplina del lavoro e del campo.

L’esperienza ha dimostrato che solo eccezionalmente si può in questo modo durare più di tre mesi

e inoltre Vorremmo far considerare come il Lager sia stato, anche e notevolmente, una gigantesca esperienza biologica e sociale.

Secondo Levi nel campo ci sono due categorie di uomini: i sommersi e i salvati. I primi sono già morti interiormente, accettando tutto passivamente . I salvati invece sono coloro che hanno saputo trovare le “molte vie, aspre e impensate” per conservare sempre accesa una scintilla di umanità. Sui campi di concentramento si è detto moltissimo in questi anni, e sono diventati argomento d’elezione nelle scuole di ogni ordine e grado. Però un punto forse lo abbiamo perso, ed è la violenza psicologica perversa che veniva agita parallelamente a quella fisica, riducendo le persone a numeri, dando loro regole assurde, e considerando il loro corpo come un terreno di sperimentazione.

Le differenze con il presente sono enormi, per l’estrema esperienza del lager, ma la riflessione di Primo Levi mi porta a farmi delle domande.

Quando un ordine è senza senso, quale prezzo ha accoglierlo come vero dentro di noi? Quanta parte della nostra coscienza stiamo spegnendo mentre lo facciamo? E, con essa, a quanta vita stiamo rinunciando?

Chi sono, oggi, i sommersi e i salvati?

 

 

 

 

La primavera non aspetta

Quest’anno la primavera è arrivata in anticipo, alle 4:49 italiane del 20 marzo . Forse temeva nuove restrizioni, visti i tempi.

No, a parte gli scherzi,  la natura non sente la paura e la terra continua incessante il suo moto intorno al sole.  Ci ricorda che buio e luce non possono smettere di alternarsi, e sono parte della stessa identica sostanza.  Sono giorni difficili, ognuno nella propria reclusione forzata sta tirando fuori i propri scheletri dall’armadio. E’ un momento in cui la scelta si fa evidente, senza veli, tra la frequenza di vita e quella di morte, tra la luce e il buio. La mia poteva essere : scrivo questo articolo o con un clic mi lascio trascinare nel vortice oscuro dei media ?

Ieri mattina ho tenuto una videolezione ai miei studenti e abbiamo letto il libro sesto dell’Odissea:  in una meravigliosa isola del mar Ionio, la terra dei Feaci, la principessa Nausicaa dorme e riceve in sogno un messaggio che la porterà ad incontrare Ulisse, appena naufragato. I versi di Omero danzano intorno alla figura della bellissima ragazza: il libro è un inno alla delicatezza, all’armonia, al gioco, alla femminilità, all’amicizia. Si fondono le dimensioni del sogno e della realtà, vista nei suoi aspetti più luminosi, nello splendore della natura. Nausicaa va con le amiche a lavare le vesti alla foce di un fiume, vicino alla spiaggia e le amiche scherzano, curano il corpo, godono il momento con serenità, gioia, pace. I Feaci sono un popolo famosi soprattutto per la sua ospitalità, e accoglieranno Ulisse , lo straniero,  ascoltando a cuore aperto il suo racconto.

Le ancelle di Nausicaa sono paragonate alle Grazie, figure stupende della mitologia e che trovano tante rappresentazioni nell’arte . Ho mostrato ai ragazzi quella della “Primavera ” di Botticelli, vista la ricorrenza del 21 marzo. Osservare quel dipinto, con l’inverno grigio che soffia ma si deve mettere da parte, e il passo leggero e sicuro della Primavera, mi nutre il cuore. L’unica corona che voglio indossare in questi giorni  è quella di fiori della primavera che incede ad abbracciarci col suo tepore.

Spero che ospitalità, delicatezza, creatività, armonia si risveglino molto presto in ognuno di noi.  Nell’attesa accolgo a braccia aperte la nuova stagione, ascoltando Lucio Battisti, La collina dei ciliegi.