La scuola è una lunga opera di semina, i cui frutti non sono affatto prevedibili, sicuri e tantomeno immediati. Mi capita spesso che argomenti studiati molti anni fa, passati inosservati e magari incompresi in quel momento della vita, riaffiorino nel presente e acquistino un’altra luce, quella dell’attualità. Recentemente ho ripensato al mito della caverna narrato da Platone ne La Repubblica, un dialogo straordinario con protagonista Socrate, scritto circa 2300 anni fa. Platone nel sesto libro utilizza il mito della caverna per descrivere i diversi gradi della conoscenza umana, da quelli più bassi, ossia la congettura e la credenza, sino a quelli più elevati, la conoscenza e l’intelligenza. Gli uomini sono prigionieri, incatenati dentro una caverna al buio e guardano le ombre di oggetti proiettati davanti a loro, convinti che siano la realtà; ne discutono e fanno a gara nel riconoscerli. Uno di loro si libera e scopre che fuori dalla caverna ci sono oggetti reali illuminati dalla luce del sole, che è la fonte della vita. L’uomo liberato per abituare i suoi occhi alla luce solare deve soffrire e rafforzarsi; sarà inoltre solo, perché gli uomini ancora prigionieri non gli crederanno quando racconterà la sua scoperta. Anzi, si adireranno fortemente con lui, sino ad ucciderlo, e vorranno continuare a vivere in quel mondo di copie riflesse della realtà.
Il mito della caverna è sicuramente un “universale fantastico” secondo la definizione di Giambattista Vico, ossia il messaggio simbolico che contiene risulta sempre attuale attraverso le epoche storiche. In quella odierna una grande quantità di persone guarda quotidianamente la televisione ed è convinta che ciò che vede sia reale. Come i prigionieri del mito, con inerzia e senso di sicurezza le persone si siedono davanti allo schermo e fanno abitualmente entrare nelle case e nel proprio mondo interno “un altrove” che non esiste concretamente, ma i cui effetti agiscono dentro di loro. La televisione, come le immagini proiettate da qualcuno sul muro davanti ai prigionieri della caverna, è capace prima di tutto di offuscare la percezione della realtà, confondendo l’esperienza diretta con quella vista sullo schermo. Inoltre ha il potere di allontanare la connessione con la nostra unicità, creatività, spiritualità, che nel mito è simboleggiata dalla luce del sole. Assuefatti alle immagini riflesse, copie surrogate delle reali, gli uomini non accedono al grado più alto di conoscenza, a quella che Platone chiama intelligenza divina, che si raggiunge con la consapevolezza e la capacità di vedere oltre. Gli uomini si accontentano di nutrirsi di una realtà verosimile e di non faticare a ricercare il proprio scopo personale.
Platone nella conclusione del libro va molto oltre, in un terreno che oggi, perlomeno in Italia, sembra pura utopia: ossia conclude la discussione indicando come adatti alla politica solo gli uomini che hanno raggiunto la conoscenza più alta. Essi infatti hanno acquisito una consapevolezza e forza morale tali da non temere di tornare nella caverna tra le persone inconsapevoli e guidarle verso la luce.
Vogliamo spingere il tasto OFF ? O temiamo di abbagliarci con la nostra stessa fonte di vita?